sabato 25 dicembre 2010

BUONE FESTE A TUTTI!

Si tratta del mio primo Natale "on air" quindi un pò di imbarazzo sul come rivolgere i miei auguri, confesso, c'è.
In questi casi, si dice sempre che la semplicità è la dote più apprezzata, quindi semplicemente RINGRAZIO chi ha letto anche solo un frammento di questo blog e chi l'ha seguito settimana per settimana, chi con pazienza mi ha dato dei buoni consigli, chi si è arrabbiato perchè non riusciva a commentare i miei post, chi mi ha corretto, chi ha risposto alle mie domande, chi mi ha ispirato con i suoi interventi, e a TUTTI AUGURO di trascorrere delle SERENE FESTIVITA'!

domenica 28 novembre 2010

K I S S

L'insegnante madrelingua inglese, Mrs. Campbell, entra in classe, saluta appena con un cenno del capo, va alla lavagna e con il gesso traccia a caratteri cubitali quattro semplici lettere: K – I – S - S.
Per noi liceali, in attesa di ricevere il responso sull’ultimo compito in classe, quella scritta candida su sfondo nero sembra di buon auspicio, se non fosse per lo sguardo spietato e sarcastico della professoressa, che si affretta a spiegare: “questo acronimo ve lo dovete mettere in quella testaccia dura!”. Gli sguardi sono attoniti, cosa dovremmo metterci in testa? La versione anglofona dell’apostrofo rosa tra le parole t’amo? Ebbene no, niente effusioni, niente romanticismo. Quelle quattro lettere stanno per: “Keep It Simple Stupid!”.
Da allora mi sono sforzata in tutti in modi di adottare uno stile di scrittura lineare, esplicito e diretto, e per questo spesso sono stata accusata di essere secca, dura, di disprezzare la classica prosa italiana.
Ho molta stima nei confronti di chi riesce sempre ad arrivare al nocciolo della questione senza tanti giri di parole, senza eccessivi formalismi, ma soprattutto per chi riesce subito ad adattare il suo modo di comunicare al contesto in cui si trova ad operare.

Per quanto mi riguarda, sono quasi cinque anni che “litigo” con i “Vossignoria”, gli “Illustrissimi” e i “Codesti Spettabili Enti”, chiedendomi perché vengano ancora utilizzate certe complesse diciture, senza per questo negare che, nella trappola di questo stile pomposo e desueto, qualche volta ci sono cascata anch’io.
Avere a che fare spesso con la Pubblica Amministrazione e il suo tipico “burocratese” ha infatti decisamente ammorbidito il mio modo di scrivere anglofilo, tipo: soggetto+verbo+complementi+punto, anche se negli ultimi tempi mi sono data delle regole semplici ma ferree: niente maiuscolo di riverenza nei pronomi personali (a meno che non si scriva al Presidente della Repubblica), niente tecnicismi (a meno che la comunicazione non sia diretta ad un tecnico), più elenchi puntati per spiegare in maniera semplice ed immediata i passaggi complessi, grassetti per sottolineare i messaggi più importanti, e link per approfondire le tematiche.

Per questo leggere il post di Gianluca Sgueo intitolato “Vade retro burocratese” mi fa fatto capire che la strada intrapresa è quella giusta.
La tendenza della Pubblica Amministrazione verso un miglioramento della comunicazione con l’utenza non è certo una novità (è sufficiente osservare quale radicale metamorfosi abbia subito il sito nell’Inps negli ultimi due anni), ma è confortante constatare come anche (e soprattutto) le piccole Amministrazioni Locali cerchino di raggiungere l’obiettivo, attraverso la formazione di una nuova generazione di funzionari, impegnati nell’attività di “svecchiamento” di atti amministrativi, circolari e normative.
Sgueo sottolinea nelle sue conclusioni i costi della mancanza di chiarezza: il rischio di contenzioso da una parte e la percezione distorta (e negativa) del servizio pubblico dall’altra. A questi aggiungerei anche l’eccessivo ricorso agli Uffici di Relazione con il Pubblico (i famigerati URP) o agli sportelli locali dei vari Enti, al fine di ricevere chiarimenti, che se inseriti nelle comunicazioni in maniera chiara e comprensibile, renderebbero i rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadini più fluidi e distesi.

Il successo di iniziative di formazione sul “Legal drafting” mi fa ben sperare, forse tra qualche anno non affronterò più l’analisi di una circolare ministeriale con lo stesso stato d’animo con cui affronterei un cruciverba senza schema.

venerdì 29 ottobre 2010

Elogio alla scrittura sul Venezia - Milano

Appeso alla bacheca del mio ufficio, tra volantini e biglietti da visita, c’è il ritaglio di un breve articolo di Beppe Severgnini apparso circa sei mesi fa sul Corriere della Sera all’interno della rubrica Italians, intitolato: “Prendete un treno per conoscere il mondo”. Si tratta di un breve commento che mischia saggezza, leggerezza ed ironia, nella migliore tradizione del noto giornalista (con una spassosissima nota sul suo viaggio di nozze tra Mosca e Pechino).
Il treno … forse il mio mezzo di trasporto preferito, sicuramente quello che uso  più frequentemente (auto esclusa). Durante le mie trasferte ferroviarie amo guardarmi attorno, studiare  le varie tipologie di viaggiatori e magari chiacchierare con qualche occasionale compagno di viaggio. Capita però che mi ritrovi seduta nel sedile singolo alla fine della carrozza (del resto mi piacciono i posti vicino al finestrino), allora cambio prospettiva e comincio a scrivere.
La scelta del momento perfetto  in cui accedere il computer o prendere carta e penna varia a seconda della tratta, sul Venezia-Milano è attorno alla fermata di Verona Porta Nuova. A quel punto la maggior parte dei passeggeri è ormai a bordo, inghiottita dai propri sedili: i turisti hanno ormai esaurito tutti i loro commenti sulla fantastica esperienza veneziana, i più hanno terminato le comunicazioni di servizio del tipo “sono appena partito, ti chiamo quando arrivo”, i manager hanno fatto sapere ad almeno una decina di colleghi che stanno andando a Milano e che la riunione/l’incontro/il corso ha avuto il successo sperato, gli agenti di commercio hanno smesso di disquisire sull’andamento delle vendite o sulle lamentele dei clienti, e se si viaggia sull’Eurocity diretto a Ginevra i dirigenti delle industrie farmaceutiche hanno appena terminato di parlare dell’ultimo innovativo composto o blister.
Quello è l’istante perfetto.
Il momento in cui tutti i passeggeri (e con questo includo anche la sottoscritta) esauriscono la loro frenesia da spostamento e si rilassano un po’: sonnecchiano, leggono, ascoltano l’i-pod o scrivono le loro e-mail.
Allora non mi serve infilare le cuffiette, il solo ticchettio delle dita sulla tastiera mi permette di estraniarmi da quel contesto e le idee affiorano. Sul treno ho scritto e riscritto di tutto: dal diario di bordo delle mie gite fuori porta ai resoconti delle riunioni, dalle cartoline ai budget aziendali, dalla filastrocca per la figlia neonata dei miei amici ai contenuti delle pagine web.
Severgnini sostiene che l’abitudine ammazza i pensieri, mentre “in viaggio si riflette e si inventa”; si mettono a frutto gli stimoli esterni o semplicemente l’inattività e la quasi immobilità alla quale si è costretti. Probabilmente questo è ciò che resta a noi moderni cittadini del mondo globalizzato dell’otium intellettuale tanto celebrato dagli umanisti.
Non far niente è il lavoro più duro di tutti” O. Wilde
P.S: Anche questo post è targato Trenitalia

mercoledì 20 ottobre 2010

Shakespeare e il caso Marcegaglia

“C’è del marcio in Italia!”, ecco cosa sentenzierebbe Amleto di fronte ai casi della cronaca italiana di questi ultimi tempi: dimore regali a Roma e a Montecarlo, cortigiane a palazzo, parole ascoltate di nascosto, non più però da dietro i pesanti tendaggi di velluto, ma attraverso avanzatissimi sistemi di intercettazione.

“Molto rumore per nulla”, così titolava sabato 9 ottobre il Corriere della Sera in relazione al famoso, quanto fumoso, “super pezzo giudiziario sugli affaire della Marcegaglia family”, rivelatosi poi un semplice collage di articoli già apparsi in altre testate. Sono passate due settimane da quello che si annunciava come l’ennesimo scandalo: tre giorni in cui giornali, TV, web sono stati quasi monopolizzati dalla vicenda, poi … “nulla” o quasi.
Lettori e spettatori sono rimasti con i loro dubbi: scherzo tra giornalisti o “violenza privata”, parole che hanno un peso o questione senza rilevanza penale, fascicolo d’indagine giudiziaria o “bufala”, pressioni sul direttore o interessamento di un caro amico, dossier inconsistente o timore di rivendicazioni, politica o libertà di stampa.

L’ultimo atto del dramma sembra essere stato l’esonero di Arpisella, ormai ex portavoce del Presidente di Confindustria, che tornerà, come ha dichiarato la stessa Marcegaglia, ad occuparsi a tempo pieno dell’azienda.
Ma, niente illusioni, potrebbe anche esserci un prologo.
  
Sicuramente le tensioni tra politica e media non sono una novità nel panorama italiano, ma ciò che incuriosisce maggiormente è l’assoluta “democrazia mediatica” che ha caratterizzato tutta la vicenda; tutti i mezzi di comunicazione sono stati coinvolti in maniera assolutamente equa: si è partiti da un sms, passati attraverso e-mail scambiate tra i direttori delle maggiori testate nazionali, e approdati sulla carta stampata, in TV e sul web, con tanto d’audio delle conversazioni intercettate pubblicate su Youtube.
Come non concordare, anche questa è comunicazione.

“Come vi piace” concluderebbe forse il vecchio William.

mercoledì 6 ottobre 2010

Sei un mito!

“Sei un mito”, un apprezzamento andato definitivamente in disuso; oggi utilizzare questo slang davanti a dei ventenni significa definire in maniera precisa ed inequivocabile la propria reale età anagrafica … dai trent’anni in su!
Pensando al significato colloquiale che questo termine ha acquisito, mi è sempre parsa un’anomolia ritrovarlo negli austeri testi di economia aziendale, accompagnato dall’immancabile formalissima definizione: “racconto aziendale in forma drammatica che mira a consolidare la cultura dell’impresa”.
Ebbene si, anche le aziende si raccontano, o almeno dovrebbero. I miti aziendali, spesso tramandati solo oralmente all’interno della cerchia “dipendenti-clienti-fornitori”, a volte affiorano in superficie durante interviste, convegni, conferenze stampa, e infine, in rari e “mitologici” casi approdano sul sito aziendale, solitamente con un discreto successo. E’così che i marchi si fanno più “umani”, più vicini al pubblico, e ai clienti effettivi o potenziali. Pensiamo a Levi’s e Coca Cola, chi non sa come sono nate le idee che hanno portato alla nascita di questi colossi?
In Italia, un esempio vale per tutti: Geox e la sua “scarpa che respira”; il mito del celebre brevetto italiano e dei suoi natali statunitensi ha fatto il giro del mondo, e in patria è diventato anche oggetto di scherzo da parte di qualche burlone, il che non fa che accrescerne la fama!
Qualche tempo fa sono stata contattata da una studentessa della Luiss di Roma; aveva scoperto che la mia tesi di laurea trattava lo stesso caso aziendale del quale lei si stava occupando. Alla ricerca di informazioni, lamentava il fatto che, sebbene l’azienda in questione abbia oltre settant’anni di storia alle spalle e sia stata acquisita dal colosso mondiale del lusso LVMH, nel sito aziendale si trovano ben pochi cenni riguardo al suo passato. In effetti la pagina web dedicata alla storia di Rossimoda S.p.A. si riduce a dieci magre righe; mentre si tratta di un racconto affascinante che si snoda tra la tradizione calzaturiera veneta e il mondo seducente dei grandi marchi della moda mondiale. E’un vero peccato che non sia resa pubblica.
Altro settore, altro paese, altra storia e potenziale mito, quella della Porterhouse di Dublino.
La storia di questo birrificio, minuziosamente raccontata in menù spessi come il catalogo dell’Ikea, ma assolutamente ignorata dal sito web, ha per protagonisti i due cugini irlandesi, Liam e Oliver Hughes, che stanchi del loro lavoro in borsa, nel 1989 lasciano giacca, cravatta e ventiquattrore per realizzare il sogno di una vita: produrre birra artigianale di alta qualità. Inizialmente si tratta di un laboratorio fronte mare nella zona di Bray: un paio di silos, un odore penetrante di malto e luppolo, e l’appassionato lavoro di veri mastri birrai, oggi Porterhouse è un marchio che identifica una catena di birrerie (una delle quali nello storico quartiere dei pub, il Temple Bar), un hotel, e uno stabilimento che produce una dozzina di birre artigianali.
Bella storia, vero? Se vi trovate dalle parti di Dublino vi consiglio di fermarvi ad assaporare la nera Oyster, magari leggendo il mito dei cugini Hughes nelle prime pagine del menù!
Perché così restii ad affidare al web la propria storia?
Milioni di persone raccontano nei blog e nei social network le loro vicende personali, creando affezione e simpatia, nonché una quantità enorme di fan e follower. Perché le aziende non dovrebbero fare lo stesso? Magari usando quel tocco di romanzato, tipico delle favole a lieto fine.
“Mito” è bello e perché no, anche utile al business!

venerdì 1 ottobre 2010

L’identità del blogger

Nell’ottobre del 2008, la rivista di settore Wired! sembrava aver decretato il definitivo decesso dei blog, sconsigliandone l’apertura:  “Thinking about launching your own blog? Here’s some friendly advice: Don’t.”, che tradotto suona più o meno così: “Stai pensando di aprire un tuo blog? Ascolta un consiglio da amico: non lo fare”.
La morte dei blog, nella teoria dei catastrofisti, è una conseguenza diretta dell’avvento dei social network, molti blogger sembravano essere “passati al nemico”; al “cosa stai pensando” di Facebook e/o al cinguettio di Twitter, snobbando definitivamente il loro primo amore.
Leggendo questi annunci un po’ inquietanti, pensavo, a conferma delle carenze già esposte nel post di lunedì scorso, che il tempismo non sembra proprio essere la mia qualità migliore; apro il mio blog personale meno di un mese fa, e scopro che l’intero sistema, secondo alcuni, è agonizzante.

Poi grazie al post di Luisa Caradda, il Giardino dei Blog, sono venuta a conoscenza dell’esistenza del BlogFest 2010 (l’anno prossimo ci devo proprio andare!) nonché dell’inappuntabile intervento, a margine dell’evento di Riva del Garda, postato da Massimo Mantellini, nel quale non solo si profetizza la rinascita del blog, ma si tessono le lodi di questo strumento di informazione e condivisione, avente il grande pregio di dare spazi e tempi giusti al pensiero.

A questo punto  il mio morale sarebbe stato già sufficiente ristabilito, ma il salto di qualità è arrivato grazie al “Temino in 600 battute” di Alessandro Di Nicola; il suo post mi ha colpito per l’immediatezza e la concretezza con le quali ha guardato il mondo dei blog, da una prospettiva per me del tutto nuova, quella della riconoscibilità:
“Cara maestra,
un tempo per sviluppare una rete di relazioni era necessario creare contenuti. Creando contenuti ed essendo letti, si era riconoscibili. Si diceva Io.
Ora le reti di relazioni si alimentano, per lo più, all’interno dei social network. Non c’è bisogno di dire Io: si è già rintracciabili come singole identità e non a causa dei contenuti che si pubblicano.
I blog rimangono per generare contenuti. Per tutti gli interessati. Atti di scrittura che sollecitano destinatari: li sollecitano ma non li presuppongono e, se li presuppongono, non li riconoscono.”

lunedì 27 settembre 2010

Dal GIAPPONE con COLORE

So bene che una buona tempistica è tutto quando si parla di eventi; lo scrivo con la sana consapevolezza di essere in difetto, poiché inserire un post relativo ad una mostra (tra l’altro bellissima) dopo un mese dal suo debutto rivela una certa trasandatezza, nella quale spero di non ricadere più!
La mostra in questione è “Graphic Design dal Giappone. 100 Poster 2001-2010” inaugurata dalla Fondazione Bevilacqua La Masa lo scorso 27 agosto, a Venezia, presso le sale della Galleria di Piazza San Marco. Si tratta di un’esposizione rappresentativa del meglio della grafica pubblicitaria giapponese dell’ultimo decennio: cento poster in cinque sale allestite con ricercata linearità.
La mostra fa eco ad una precedente rassegna di eventi “New Graphic Design Japan TDC2008”, che alla fine del 2008 aveva portato a Venezia, e per la prima volta fuori dal Giappone, oltre 300 opere di grafica nipponica, scelte tra le migliori 30.000 prodotte nel corso del 2008.
Ho avuto la fortuna di essere accompagnata nella visita delle sale, che fino al 20 ottobre prossimo ospiteranno la mostra, dalla curatrice, Rossella Menegazzo, le cui spiegazioni mi ha permesso di inquadrare le varie opere nel loro contesto. La maggior parte dei poster esposti fanno parte di progetti pubblicitari realizzati per noti marchi di prodotti giapponesi: dalle bevande alla tecnologia, dall’abbigliamento alla grande industria. L’ultima sala raccoglie invece la serie “Hiroshima Appeals”; in occasione del sessantacinquesimo anniversario dello scoppio della bomba atomica, sono stati raccolti i migliori tra i poster commemorativi, che ogni anno i maggiori designers giapponesi donano alla città in ricordo della tragedia.
Probabilmente non sono riuscita a cogliere“l’euritmia di immagini e parole dispiegate in questi manifesti” , di cui parla il Catalogo della mostra edito da Electa, ma ho molto apprezzato l’assoluto rispetto che i moderni designers dimostrano nei confronti della tradizione, pur in un contesto di creativa innovazione, attraverso il continuo rimando alle icone della cultura classica giapponese: il monte Fuji, i paesaggi naturali, gli animali, la calligrafia. Ciò che mi ha maggiormente colpito è il senso di leggerezza e di raffinatezza che alcune di queste opere sprigionano: immagini che sembrano fluttuare inconsistenti ma vivacissime, sospese in un mondo parallelo, come i fantasiosi “sushi tessili” di Issey Miyake (“Pleats Please”).
La cultura giapponese rimane per me un mistero, un mondo pieno di contraddizioni, al quale mi avvicino con curiosità, ma anche con il reverenziale riguardo di chi sa che, per quanto si conosca di una civiltà così lontana, non si riuscirà mai a comprenderla pienamente.






venerdì 24 settembre 2010

Ultimo giorno di Social Media WeeK Milan … sigh sigh! :-(

C’è voluta la Social Media Week per farmi scoprire il significato del termine “geek”. Ho spesso sentito parlare, con un tono variabile tra l’ironico e il dispregiativo, di “nerd” come di persone ossessionate dalla tecnologia, geni incompresi del web, ma a quanto pare questa nuova figura, il “geek”, affianca alla passione per l’informatica quella per i nuovi media, compresi ovviamente i social network, e così …. il “computer-dipendente” perde la sua connotazione negativa e diventa decisamente più “smart”!
Credo di aver virtualmente seguito il mondo dei “geek” durante questi cinque giorni di Social Week milanese: ho letto i loro commenti, ho visto video e foto, ho imparato cos’è un “crowdsourcing”, ho scoperto che si può partecipare ad una caccia al tesoro armati solo di smartphone, ho seguito il rapido succedersi degli eventi su facebook (almeno fino a quando il più grande social network del mondo ha deciso di prendersi una pausa!), il tutto intervallato da parecchi sospiri … purtroppo, per quanto si possa seguire un evento on-line, parteciparvi in carne e laptop è sicuramente tutta un’altra storia!
Digital art, geolocation, personal branding sono solo alcune delle materie che avrei voluto approfondire durante la rassegna milanese.
Vorrà dire che mi consolerò leggendo il libro che Mafe De Baggis ha presentato giovedì 23 settembre presso l’Urban Center in Galleria Vittorio Emanuele: “World Wide We – Progettare la presenza in Rete: le aziende al marketing alla collaborazione (ed. Apogeo - 2010) ... aspettando la prossima Social Media Week!

giovedì 23 settembre 2010

GOD SAVE THE QUEEN

Ammetto di avere una malsana abitudine: quando leggo un libro e non ho a disposizione una matita (il 90% dei casi), indico le pagine che mi sono piaciute con una piccola piega del margine superiore.
Nella mia personalissima classifica dei libri più spiegazzati “La sovrana lettrice” di Alan Bennett (ed. Adelphi – 2007), stravince su tutti: finito in meno di 48 ore con ben 22 pieghe su 95 pagine totali!
Il libro è un concentrato di impressioni e riflessioni, nelle quali l’amante della lettura non può fare a meno di ritrovarsi, ma nelle ultime venti pagine la protagonista fa “il salto di qualità” reinventandosi scrittrice:
 Scoprì tuttavia che, quando scriveva qualcosa, anche se era solo un appunto, era felice come lo era stata leggendo. Ancora una volta si rese conto che leggere non le bastava più. Un lettore non è molto diverso da un spettatore, mentre scrivere per lei era agire, e agire era il suo dovere.”
Bennett riesce, in poche semplici ma illuminate righe, a dare voce al legame indissolubile tra lettura e scrittura, a spiegare il motivo per cui le sagge maestre raccomandavano con apprensione ai nostri genitori di spingerci a leggere, affinché, non solo evitassimo quegli errori di ortografia segnati tre volte con la penna rossa, ma con il tempo riuscissimo a trarre piacere dall’esprimerci attraverso la scrittura.
Davanti al classico foglio bianco, sia esso cartaceo o elettronico, mi sento un po’ apprendista stregone alle prese con un’alchimia fatta di parole, linguaggi, media e grafica, spaventa un po’ ma è così affascinante!
Si sentiranno così anche scrittori, autori, blogger?

lunedì 20 settembre 2010

Sono on air

E’stata una scelta meditata; per quasi un anno ho tentennato davanti a quell’invitante bottone arancione: “CREA BLOG”, chiedendomi se avrebbe funzionato, alla fine mi sono buttata, fidandomi ciecamente di ciò che la mia “mentore virtuale” sostiene: il blog è un’ottima palestra di scrittura per trovare il proprio stile, adattandolo ad un mezzo diverso da quelli che normalmente si usano in campo professionale (lettere, brochure, web-content, presentazioni, etc…).
Al momento ho qualche asso nella manica (interessante? Chi lo sa?), ma se tra un mese o due dovesse venir meno l’ispirazione … allora penso che farò quello che tutti fanno quando sono in difficoltà, tornano alle origini, nel mio caso: leggere, leggere, leggere.
Sono infinitamente grata a Luisa Carrada e al suo mestiere di scrivere; grazie per i preziosi consigli, per gli utilissimi strumenti, per gli esempi che valgono più di mille parole, ma soprattutto grazie per aver fatto saltare in me la molla del blogger!