mercoledì 6 ottobre 2010

Sei un mito!

“Sei un mito”, un apprezzamento andato definitivamente in disuso; oggi utilizzare questo slang davanti a dei ventenni significa definire in maniera precisa ed inequivocabile la propria reale età anagrafica … dai trent’anni in su!
Pensando al significato colloquiale che questo termine ha acquisito, mi è sempre parsa un’anomolia ritrovarlo negli austeri testi di economia aziendale, accompagnato dall’immancabile formalissima definizione: “racconto aziendale in forma drammatica che mira a consolidare la cultura dell’impresa”.
Ebbene si, anche le aziende si raccontano, o almeno dovrebbero. I miti aziendali, spesso tramandati solo oralmente all’interno della cerchia “dipendenti-clienti-fornitori”, a volte affiorano in superficie durante interviste, convegni, conferenze stampa, e infine, in rari e “mitologici” casi approdano sul sito aziendale, solitamente con un discreto successo. E’così che i marchi si fanno più “umani”, più vicini al pubblico, e ai clienti effettivi o potenziali. Pensiamo a Levi’s e Coca Cola, chi non sa come sono nate le idee che hanno portato alla nascita di questi colossi?
In Italia, un esempio vale per tutti: Geox e la sua “scarpa che respira”; il mito del celebre brevetto italiano e dei suoi natali statunitensi ha fatto il giro del mondo, e in patria è diventato anche oggetto di scherzo da parte di qualche burlone, il che non fa che accrescerne la fama!
Qualche tempo fa sono stata contattata da una studentessa della Luiss di Roma; aveva scoperto che la mia tesi di laurea trattava lo stesso caso aziendale del quale lei si stava occupando. Alla ricerca di informazioni, lamentava il fatto che, sebbene l’azienda in questione abbia oltre settant’anni di storia alle spalle e sia stata acquisita dal colosso mondiale del lusso LVMH, nel sito aziendale si trovano ben pochi cenni riguardo al suo passato. In effetti la pagina web dedicata alla storia di Rossimoda S.p.A. si riduce a dieci magre righe; mentre si tratta di un racconto affascinante che si snoda tra la tradizione calzaturiera veneta e il mondo seducente dei grandi marchi della moda mondiale. E’un vero peccato che non sia resa pubblica.
Altro settore, altro paese, altra storia e potenziale mito, quella della Porterhouse di Dublino.
La storia di questo birrificio, minuziosamente raccontata in menù spessi come il catalogo dell’Ikea, ma assolutamente ignorata dal sito web, ha per protagonisti i due cugini irlandesi, Liam e Oliver Hughes, che stanchi del loro lavoro in borsa, nel 1989 lasciano giacca, cravatta e ventiquattrore per realizzare il sogno di una vita: produrre birra artigianale di alta qualità. Inizialmente si tratta di un laboratorio fronte mare nella zona di Bray: un paio di silos, un odore penetrante di malto e luppolo, e l’appassionato lavoro di veri mastri birrai, oggi Porterhouse è un marchio che identifica una catena di birrerie (una delle quali nello storico quartiere dei pub, il Temple Bar), un hotel, e uno stabilimento che produce una dozzina di birre artigianali.
Bella storia, vero? Se vi trovate dalle parti di Dublino vi consiglio di fermarvi ad assaporare la nera Oyster, magari leggendo il mito dei cugini Hughes nelle prime pagine del menù!
Perché così restii ad affidare al web la propria storia?
Milioni di persone raccontano nei blog e nei social network le loro vicende personali, creando affezione e simpatia, nonché una quantità enorme di fan e follower. Perché le aziende non dovrebbero fare lo stesso? Magari usando quel tocco di romanzato, tipico delle favole a lieto fine.
“Mito” è bello e perché no, anche utile al business!

2 commenti:

  1. Temple Bar...Dublino è la città dove si è "suggellata" la storia d'amore con il mio Ale.
    Bisogna avere tanto coraggio per togliersi giacche e cravatte nella vita e provare a fare veramente qualcosa che ci appartiene...

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  2. Verissimo! Bisogna buttarsi per far vedere di che pasta si è fatti ... non tutte le le storie vanno a lieto fine, ma meglio rimorsi che rimpianti!
    Grazie Enza!

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