Appeso alla bacheca del mio ufficio, tra volantini e biglietti da visita, c’è il ritaglio di un breve articolo di Beppe Severgnini apparso circa sei mesi fa sul Corriere della Sera all’interno della rubrica Italians, intitolato: “Prendete un treno per conoscere il mondo”. Si tratta di un breve commento che mischia saggezza, leggerezza ed ironia, nella migliore tradizione del noto giornalista (con una spassosissima nota sul suo viaggio di nozze tra Mosca e Pechino).
Il treno … forse il mio mezzo di trasporto preferito, sicuramente quello che uso più frequentemente (auto esclusa). Durante le mie trasferte ferroviarie amo guardarmi attorno, studiare le varie tipologie di viaggiatori e magari chiacchierare con qualche occasionale compagno di viaggio. Capita però che mi ritrovi seduta nel sedile singolo alla fine della carrozza (del resto mi piacciono i posti vicino al finestrino), allora cambio prospettiva e comincio a scrivere.
La scelta del momento perfetto in cui accedere il computer o prendere carta e penna varia a seconda della tratta, sul Venezia-Milano è attorno alla fermata di Verona Porta Nuova. A quel punto la maggior parte dei passeggeri è ormai a bordo, inghiottita dai propri sedili: i turisti hanno ormai esaurito tutti i loro commenti sulla fantastica esperienza veneziana, i più hanno terminato le comunicazioni di servizio del tipo “sono appena partito, ti chiamo quando arrivo”, i manager hanno fatto sapere ad almeno una decina di colleghi che stanno andando a Milano e che la riunione/l’incontro/il corso ha avuto il successo sperato, gli agenti di commercio hanno smesso di disquisire sull’andamento delle vendite o sulle lamentele dei clienti, e se si viaggia sull’Eurocity diretto a Ginevra i dirigenti delle industrie farmaceutiche hanno appena terminato di parlare dell’ultimo innovativo composto o blister.
Quello è l’istante perfetto.
Il momento in cui tutti i passeggeri (e con questo includo anche la sottoscritta) esauriscono la loro frenesia da spostamento e si rilassano un po’: sonnecchiano, leggono, ascoltano l’i-pod o scrivono le loro e-mail.
Allora non mi serve infilare le cuffiette, il solo ticchettio delle dita sulla tastiera mi permette di estraniarmi da quel contesto e le idee affiorano. Sul treno ho scritto e riscritto di tutto: dal diario di bordo delle mie gite fuori porta ai resoconti delle riunioni, dalle cartoline ai budget aziendali, dalla filastrocca per la figlia neonata dei miei amici ai contenuti delle pagine web.
Severgnini sostiene che l’abitudine ammazza i pensieri, mentre “in viaggio si riflette e si inventa”; si mettono a frutto gli stimoli esterni o semplicemente l’inattività e la quasi immobilità alla quale si è costretti. Probabilmente questo è ciò che resta a noi moderni cittadini del mondo globalizzato dell’otium intellettuale tanto celebrato dagli umanisti.
“Non far niente è il lavoro più duro di tutti” O. Wilde
P.S: Anche questo post è targato Trenitalia