martedì 17 aprile 2012

Inglese vs. Italiano = Scienza vs. Lettere?

Venerdì 13 aprile, ore 09.15 sfogliando il Corriere della Sera un articolo dal titolo “Se le nostre università si convertono all'inglese” attira la mia attenzione. 
Stesso giorno, ore 17.55 ricevo una mail con oggetto: “Italiano escluso all'Università: la "Dante" non ci sta” dalla Società Dante Alighieri (per capirci, l’ente che l’anno scorso ha promosso la bella iniziativa “Adotta una parola”).

Sembra proprio l’inizio di un affare di stato linguistico.
Non succede così spesso che la nostra bella lingua finisca sui giornali, la diatriba potrebbe farsi interessante...

Il fatto: A partire dal 2014 i corsi per gli studenti dell'ultimo biennio della laurea specialistica e dei dottorati presso il Politecnico di Milano saranno tenuti esclusivamente in inglese. Abolito il “doppio binario”: corsi in italiano per i due terzi e in inglese per il restante terzo, resta solo la “lingua tecnica base”.
Il rettore dell’ateneo Giovanni Azzone giustifica la decisione affermando che i corsi in lingua inglese attireranno studenti e docenti da tutto il mondo, perché “l'Italia può crescere solo se attrae intelligenze”.

Hanno salutato con favore la scelta del Politecnico il ministro-ingegnere Profumo e vari esponenti del mondo scientifico, mentre filosofi, scrittori e linguisti sono intervenuti a gamba tesa, sostenendo l’inaccettabilità e la “follia” della scelta in ambito pubblico. Il dibattito si è fatto serrato anche nei blog (vedi qui Italians) e sui social network.

Personalmente, considero la posizione di Roberto Cingolani, direttore scientifico dell'Istituto italiano di tecnologia, quantomeno ottimistica. Cingolani difende infatti il progetto del Politecnico, affermando che esso è rivolto a persone adulte che parlano già un ottimo italiano. Ma siamo proprio sicuri che gli studenti del biennio di specializzazione universitaria parlino e scrivano correttamente nella lingua madre?

Concordo invece pienamente con Massimiliano Fuksas, architetto di fama mondiale, il quale sottolinea proprio la nostra caratteristica mancanza di equilibrio: “Troppo radicali, o non facciamo nulla o troppo. Prima c'è la nostra lingua, poi possiamo impararne anche altre due o tre.”

E voi cosa ne pensate?
Inglese al 100%, monopolio nazionale o giusto mix?

2 commenti:

  1. Io sono per il giusto mix.
    Meglio si conosce la propria lingua madre e meglio ci si esprime nelle lingue straniere. Parlo un po' per esperienza: non sono portata per parlare una lingua straniera, me ne sono resa conto sul campo, e purtroppo una certa dose di predisposizione è necessaria, ma spesso mi sono sentita dire che non sono fluente ma parlo un buon inglese, ovvero uso parole "elevate" e ciò deriva solo da una conoscenza discreta della lingua italiana.
    Al contrario ho molta più difficolta ad entrare nella logica del "coso" "cosa" e "cosare": Did you GET it? ;D
    Cri

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  2. Equilibrio e buon senso sono fondamentali anche quando si parla di lingue. Conoscere italiano non solo è una necessità formale, ma anche un requisito tecnico: mai provato a spiegare come si costruisce una frase in inglese quando la persona che hai davanti non sa cos'è un complemento oggetto o un predicato verbale? Imparare una lingua straniera diventa estremamente più semplice quando si conoscono la grammatica e la sintassi italiana ... anche perchè confrontandole con quelle inglesi il percorso è tutto in discesa!

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