domenica 28 novembre 2010

K I S S

L'insegnante madrelingua inglese, Mrs. Campbell, entra in classe, saluta appena con un cenno del capo, va alla lavagna e con il gesso traccia a caratteri cubitali quattro semplici lettere: K – I – S - S.
Per noi liceali, in attesa di ricevere il responso sull’ultimo compito in classe, quella scritta candida su sfondo nero sembra di buon auspicio, se non fosse per lo sguardo spietato e sarcastico della professoressa, che si affretta a spiegare: “questo acronimo ve lo dovete mettere in quella testaccia dura!”. Gli sguardi sono attoniti, cosa dovremmo metterci in testa? La versione anglofona dell’apostrofo rosa tra le parole t’amo? Ebbene no, niente effusioni, niente romanticismo. Quelle quattro lettere stanno per: “Keep It Simple Stupid!”.
Da allora mi sono sforzata in tutti in modi di adottare uno stile di scrittura lineare, esplicito e diretto, e per questo spesso sono stata accusata di essere secca, dura, di disprezzare la classica prosa italiana.
Ho molta stima nei confronti di chi riesce sempre ad arrivare al nocciolo della questione senza tanti giri di parole, senza eccessivi formalismi, ma soprattutto per chi riesce subito ad adattare il suo modo di comunicare al contesto in cui si trova ad operare.

Per quanto mi riguarda, sono quasi cinque anni che “litigo” con i “Vossignoria”, gli “Illustrissimi” e i “Codesti Spettabili Enti”, chiedendomi perché vengano ancora utilizzate certe complesse diciture, senza per questo negare che, nella trappola di questo stile pomposo e desueto, qualche volta ci sono cascata anch’io.
Avere a che fare spesso con la Pubblica Amministrazione e il suo tipico “burocratese” ha infatti decisamente ammorbidito il mio modo di scrivere anglofilo, tipo: soggetto+verbo+complementi+punto, anche se negli ultimi tempi mi sono data delle regole semplici ma ferree: niente maiuscolo di riverenza nei pronomi personali (a meno che non si scriva al Presidente della Repubblica), niente tecnicismi (a meno che la comunicazione non sia diretta ad un tecnico), più elenchi puntati per spiegare in maniera semplice ed immediata i passaggi complessi, grassetti per sottolineare i messaggi più importanti, e link per approfondire le tematiche.

Per questo leggere il post di Gianluca Sgueo intitolato “Vade retro burocratese” mi fa fatto capire che la strada intrapresa è quella giusta.
La tendenza della Pubblica Amministrazione verso un miglioramento della comunicazione con l’utenza non è certo una novità (è sufficiente osservare quale radicale metamorfosi abbia subito il sito nell’Inps negli ultimi due anni), ma è confortante constatare come anche (e soprattutto) le piccole Amministrazioni Locali cerchino di raggiungere l’obiettivo, attraverso la formazione di una nuova generazione di funzionari, impegnati nell’attività di “svecchiamento” di atti amministrativi, circolari e normative.
Sgueo sottolinea nelle sue conclusioni i costi della mancanza di chiarezza: il rischio di contenzioso da una parte e la percezione distorta (e negativa) del servizio pubblico dall’altra. A questi aggiungerei anche l’eccessivo ricorso agli Uffici di Relazione con il Pubblico (i famigerati URP) o agli sportelli locali dei vari Enti, al fine di ricevere chiarimenti, che se inseriti nelle comunicazioni in maniera chiara e comprensibile, renderebbero i rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadini più fluidi e distesi.

Il successo di iniziative di formazione sul “Legal drafting” mi fa ben sperare, forse tra qualche anno non affronterò più l’analisi di una circolare ministeriale con lo stesso stato d’animo con cui affronterei un cruciverba senza schema.